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“Perché non mi hai mai risposto al telefono?!
Girati! E smettila un attimo! Che sono tutti quei fogli a terra?!”
Bob non mi guarda nemmeno, è già tanto che mi abbia aperto la porta. È da una settimana che doveva stamparmi la seconda parte della lettera.
Ora si siede al centro della stanza con la sigaretta accesa, in mezzo a delle cartacce, libri mezzi strappati e block notes traboccanti di numeri. Incrocia a fatica le grosse gambe aiutandosi con le mani. Da anni non lo vedevo che seduto sulla sua sedia ufficio sgangherata.
Mi servo subito del jolly: “Ho dei soldi da darti.”
Smette di scrivere sul quaderno, si gira osservandomi mezzo spiritato, annuisce.
“Questa è cosa buona da parte tua Alvise. Appoggiali sul tavolino.”
“Posso?” Gli mimo il segno di buttare a terra tutte le carte che ci stanno sopra con una manata.
Annuisce.
Mi fa pena ‘sto schizoide. Anni fa bevendo con un musicista, grande virtuoso di Bach, si parlava di rockettari, di pop e di droga. Sosteneva che alla fine anche chi non si droga sopperisce a questa necessità con caratteri o declinazioni fuori dal normale; caratteracci insomma. Ovviamente si riferiva all’immenso maestro del contrappunto. Nel caso di Bob lo sono i problemi matematici, che non assomigliano per niente a quelli che facevamo noi a scuola, ma sono dei rompicapo che ti risucchiano dentro se non ne stai attento, alcuni di questi insoluti da secoli. Una droga per la mente. Lo so, vien da chiedersi come possa solo pensare un comune ragazzo chiuso in un monolocale a Venezia, di risolvere una di queste questioni matematiche, eppure succede, e a quanto pare sempre più spesso grazie all’arrivo dell’internet dove i dati e le discussioni talvolta condite da insulti sono più accessibili ai profani.
Appoggio la busta con le banconote. La carezzo, quasi volessi salutarla prima di staccarmene per sempre. Per questa “cosa”, chiamiamola indagine, non sarò pagato da nessuno, a meno che... “Elizabeth!”
“Hai detto qualcosa?” Farfuglia Bob con la voce impastata e lo sguardo fisso su un foglio.
“Pensavo a voce alta. La busta è sul tavolo.”
Mi siedo al suo fianco, incrociando le gambe come lui. Osservo il pavimento cosparso di fogli stampati. Un mare di numeri in sequenza, parentesi strane e segni geroglifici.
“Non te la posso stampare, la lettera. Ti mando una e-mail, va bene?”
Faccio spallucce nascondendo una certa ansia... potrei davvero cercare di contattare la madre di Robert e accennarle della lettera.
Bob inizia a parlare, convinto, come quegli attori che fanno i monologhi nel teatro sperimentale.
“Mai sentito parlare della congettura di Collatz?”
Non batto ciglio, tanto so che è retorica.
Si accende una sigaretta, nuova, noto però che ora se le fuma completamente, fino a fonderne il filtro. Prima di andarmene lo aiuto a sistemare, non vorrei che desse fuoco al palazzo intero.
Sorride tra sé. “Ma che ti racconto Alvise? Sai almeno cos’è una congettura? È una riflessione matematica, un principio, una formula, che può essere data per vera per tutta una serie di motivi, ma va dimostrata, confutata, nel bene o nel male. Quella di Collatz è tremenda e bastarda. All’apparenza è banale, la capisce anche un bambino... la capiresti anche tu, ma dimostrarla è un vero rompicapo che rischia di succhiarti via l’anima.” Si gira, spiritato: “Penso di esserci, cioè, sto identificando la sequenza delle cifre del numero che ne proverà una dissonanza. Un fottuto caso in cui... beh, non funziona. Vuoi che te la spieghi?”
Come posso dirgli di no, mi pare che si stia rianimando. “Certo, in modo banale se puoi...”
“Ma è semplicissima. Non serve nemmeno scrivertela. Tu prendi un numero a caso, se è pari lo dividi per due, se è dispari lo moltiplichi per tre e aggiungi uno. Continui l’operazione e otterrai sempre lo stesso risultato: uno!”
“Dai! Non ci credo!”
“Fidati, è così. Servono super calcolatori per i grandi numeri, quanto vorrei essere al MIT... dai! Prova!”
Mi allunga il quadernino: “Prova con cinque.”
Scrivo con la matita sul suo qudernino.
5 x 3 + 1 = 16
“Il sedici è pari quindi?”
“Va diviso per due.”
Riscrivo: 16:2 = 8 poi 8:2 = 4 e infine 4:2 = 2
“E due diviso due dà uno concludo.” Poi lo guardo, sinceramente meravigliato; “E questo accade con tutti i numeri Bob?”
“Sì, fino adesso sì, siamo arrivati a un numero di cifre spropositato ma mai alla soluzione o alla sequenza che ne confuta la credibilità. Pensa che già muovendosi in su di pochi numeri accade che si vada in alto, che aumentino le operazioni in modo spropositato, ma alla fine si arriva sempre al quattro, due e uno.”
“Interessante Bob. Questa è vera passione....”
“Come la tua per l’arte Alvise, ma non farti ingannare. In ballo ci sono premi pazzeschi a chi fornisce la soluzione.”
“Quanto pazzeschi?”
“Ti possono cambiare la vita Alvise.”
Scosta un pochino il sedere facendo cadere una fila di stampe fotografiche di vaporetti, prima nascoste tra le carte.
“E queste che sono Bob?”
Impreca violentemente per poi risistemarle impilandole secondo un ordine esistente solo nella sua testa. Una alla volta, con calma, pensandoci su. Ci vorrà pazienza prima di chiedergli ancora della lettera di Robert.
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