©
Ma perché ti interessa così tanto quel palazzo?” Gli chiesi svuotando il bicchierino d’un fiato.
“L’ho sognato... ma non è soltanto quello.”
Mi imitò, tracannando tutto all’istante. I suoi occhi si fecero lucidi.
“E che significa? Mi hai detto tu stesso che non esiste più, che è andato distrutto chissà quando.”
“Sì, hai ragione, ma è come se fosse ancora presente, da qualche parte... forse si trova in una dimensione che noi non conosciamo.”
“Mah...”
“Alvise, ti sei mai girato di scatto con l’impressione che qualcuno ti stesse osservando?”
“Sì, forse m’è successo... e allora?”
“Beh, ecco, io l’ho sentito, intendo, non solo nel sogno, ma da cosciente. Ti giuro che mi stava chiamando.”
“Il palazzo?! E quando t’è successo?”
“L’ultima volta ero nella biblioteca di un convento, su un’isola, chino su un antico trattato di architettura, un enorme tomo, non mi chiedere il titolo perché sulla copertina non c’era scritto, ma come contenuto assomigliava ai libri del Palladio.”
“– Sono qui! Dove guardi? – Mi ha detto.”
“Il libro?!”
“Beh, non proprio il libro. Ma una specie di vocina che proveniva dalle sue pagine. Il tono era femminile e un po’ beffardo.”
“E l’hai visto? Intendo, il palazzo?”
“No, non ho fatto in tempo; ho iniziato a voltare le pagine con tale impeto d’aver allarmato il custode, un enorme frate avvolto in un saio che emanava un odore d’aceto nauseabondo.”
“Ti conosco: ti sarai agitato, rischiando di rovinare le pagine.”
“Forse una, sì... si è strappata.”
“Hai strappato la carta pergamena?!”
“Te l’ho detto che lo sfogliavo con forza. Quando l’enorme frate, con un cenno della mano inequivocabile mi ha invitato a consegnarlo, non ho potuto far altro. Ed ero talmente schifato dal suo odore pungente che ho preferito andarmene.”
“Potrebbe essere stata un’allucinazione uditiva: non soffrivi di quel fischio fastidioso?”
“L’acufene? È sparito da un pezzo.”
“Tecnicamente non è scomparso, ma è il tuo cervello che si è abituato alle frequenze di quel fischio, in modo così efficiente da non percepirlo più.”
“Vedi che ci arrivi? Se lo vuoi? E senza accorgertene.”
“A cosa?”
“Noi, Venezia, il mondo intero, sappiamo della sua esistenza ma non riusciamo a dargli concretezza.”
“Non ti seguo.”
“Esattamente come il mio acufene scomparso: ci siamo imposti di far svanire quel palazzo, e ci siamo riusciti – non mi chiedere come e chi – ma questo non significa che non esista più.”
“E... e il motivo scusami?” Gli chiesi tradendo un filo di incertezza.
Fissò il pavimento per alcuni interminabili secondi. Poi il nero delle sue pupille brillò, come vi stesse osservando la volta celeste. “Orrore. Infinito orrore Alvise. Un raccapriccio talmente forte da imporne l’oblio su tutta l’umanità.”
Il mio compagno di bevute se ne andò un po’ alticcio e risentito, forse per la mia sottintesa incredulità.
Riempii l’ennesimo bicchierino di vodka, svuotando la bottiglia, ci avevamo dato dentro quel pomeriggio uggioso.
Lo osservai attraverso le spesse sbarre di ferro dell’antica inferriata con una certa apprensione, accertandomi che non scivolasse nel rio mentre saliva sul suo barchino bianco.
Si allontanò in una nuvola di fumo azzurro e denso che si adagiò sulle increspature del rio; prematura nebbiolina dell’autunno alle porte.
Ricordo come fosse ora l’odore dell’olio bruciato della miscela, che andava a mescolarsi a quello delle alghe.
Fu l’ultima volta che vidi Robert, il mio migliore amico.
Con oggi sono passati esattamente cinque anni, quel giorno cadeva l’equinozio d’autunno. Di lui più nessuna traccia. Le indagini vennero definitivamente chiuse dopo due anni dalla sua scomparsa.
E proprio oggi, ho deciso di dedicarmici a tempo pieno; voglio capire che cosa può essergli accaduto.
E poi... e poi, volendo dirla tutta, anch’io stanotte ho sognato qualcosa che assomigliava a un palazzo.
Assieme ad altri vi stavo per accedere, scendendo una scalinata che si immergeva nelle acque del canale. Era notte buia, davanti a me una piccola porta di legno. Mi sentivo sicuro, in buona compagnia e sopratutto ero davvero felice. Una sensazione di felicità più forte di quanto abbia mai potuto provare nella mia vita reale.
Ne sono stato talmente travolto da destarmi d’improvviso, impedendomi di continuare quel stupendo viaggio onirico. Solo una certezza: che dietro a quella porticina sotto al mare, avrei trovato l’apogeo della felicità.
Ragionando sui brandelli trattenuti del sogno, ho compreso l’ansia e la frenesia che hanno caratterizzato i mesi in cui l’amico era totalmente assorbito da quella ricerca, che soltanto poche ore prima mi appariva così strana, metafisica, quasi un capriccio. “Il desiderio e la ricerca del tutto” potrebbe nascondersi in quel palazzo scomparso, ma che da qualche parte ancora esiste.
Ora tocca a me trovarlo!
***
Ti è piaciuto l'inizio di questa storia di laguna?
II° capitolo di venerdì 24
Per visualizzare i propri commenti o leggere quelli di altri lettori, si deve aver fatto l'accesso da Facebook ad esempio da un post, altrimenti non si riescono a vedere.
©