
Il turista
Avvocati
Sono in piedi, a fianco della macchinetta automatica del caffè.
Stanno quasi tutti fumando; infermieri, dottori e degenti. Tranquilli, come se nulla fosse, in barba a tutti i divieti.
Il fumo passivo mi ha sempre infastidito, per non parlare di quello in macchina, ma questa mattina stranamente mi dà quasi piacere. La sensazione che provo nel respirare l'aria satura di nicotina è di appagamento, come a soddisfare una voglia finora sempre nascosta, dal sapore nostalgico. Forse l'odore mi riporta a qualche episodio felice che non riesco a ricordare, che ne so, metti con mio nonno. Mistero...
Fatto sta che mi faccio offrire una sigaretta; ma nel momento che mi danno d'accendere, arriva un'infermiera corpulenta, enorme, tra il serio ed il bonario. Inizia a sbraitare in un veneziano incomprensibile, mescolato a termini tedeschi o forse scandinavi.
Tutti buttano la sigaretta accesa nel bicchiere, dileguandosi rapidi come le scutigere quando si accende la luce di notte, a casa mia perlomeno, in campagna.
Avvicinatasi, vedo che nasconde dietro il suo alto e grosso sedere, un battipanni di giunco, lo alza e me lo batte sul fondo-schiena!
“Ahia! Mi fa male!”
“Via! Via! Via da qui, puzzoni! In ospedale no si fuma!” Un altro colpo.
“Ma signora... mi fa male!”
Poi m'assesta un'ultima botta, precisa. La sigaretta si spezza proprio dove inizia il filtro. Probabilmente è irreparabile; ricordo di aver visto qualcuno aggiustarsela sfruttando la carta che rimaneva attaccata al filtro, ma in questo caso non è possibile.
Mi guarda col suo faccione esageratamente truccato. Ha però degli occhi bellissimi, delle vere perle grigie, nascoste sotto il cerone. Alza di nuovo il battipanni, minacciosa. Butto quel che rimane della sigaretta e mi dileguo. Percorro l'atrio dell'ospedale e mi ritrovo fuori, sul Campo San Zanipolo.
Non fa freddo, e comunque indosso il giubbotto.
Qualche superstite disperso dal raid dell'infermierona sta di nuovo fumando. Ma non ne ho più voglia. Mi allontano in pigiama, vestaglia e giubbotto, indifferente alle occhiate di qualche turista, e vado sotto la statua di bronzo.
Fa veramente impressione. Onestamente, non so se sia il più bel monumento a cavallo che sia mai stato fatto, come ho letto da qualche parte, ma sicuramente sta in cima alla classifica.
Arte importata, dalla Toscana. Niente da dire. Le sapevano fare le cose. Avevo visto a Padova quello di Donatello, notevole, ma questo lo superava. Slanciato, fiero, sicuro, il cavaliere un tutt'uno quasi mistico col suo compagno di battaglia.
C'è da dire che quasi tutte le città, comprese quelle straniere, hanno il loro monumento equestre, e che sicuramente è il più bello mai realizzato. Ovviamente, la quadriglia di Atene, ora a San Marco, sta sul pianeta Marte... ma lì non ci sono cavalieri.
Vengo destato dai miei pensieri dall'urlo esagerato di un gabbiano reale, appoggiatosi sulla testa del comandante di ventura.
Soddisfatto d'aver catturato la mia attenzione mi osserva minaccioso, dispiega le ali, gonfia il petto e mi lancia la sua sinistra intimidazione; Clo-cloo. Clo-cloo. Clo-clo-clo-clo-clo-clo-clo... sempre più veloce.
Sarà colpa anche dell'umidità, ma mi mette addosso i brividi, e poi non smette di fissarmi.
Distolgo lo sguardo. Ha vinto il gabbiano! Mogio-mogio me ne torno dentro.
E pensare che la statua del Colleoni mi stava quasi galvanizzando. Fantasticavo di essere un moderno cavaliere di Venezia; salvarla dall'acqua alta, dal turismo soffocante, dalla speculazione...
Mai, nessun doge, ha avuto diritto a un monumento celebrativo.
Chi conosce questa città sa che non si troveranno mai manifestazioni pubbliche opulente di dogi o cariche importanti. Ce n'è solo una, è di un re, abbastanza... mi metto a ridere; mi è venuto alla mente un termine:
''barò-cca''. Scuoto la testa al pensiero di tanta sfrontatezza, sorridendo alla guardia armata sulla porta d'ingresso, che mi guarda perplessa.
Spingo la maniglia, lascio cortesemente passare tre gatti in attesa, entro…
[…]
(Da: La Portante di Venezia)
