
Rimettere il naso tra le pagine di "Sindrome di Venezia" - come ho scritto sto lavorando al terzo volume, un prequel* - mi ha fatto riscoprire certi personaggi davvero... come dire... non ne conosco il termine preciso: quando l'orrore si mescola al comico, tipo film "horror comedy" americani per capirsi.
L'ho fatto ora per il post, ma in realtà non è tanto da semplificare questo concetto, ad esempio anche alcuni scritti di Kafka come "La Metamorfosi" hanno tracce ante litteram di questo humor nero. Magari qualcuno di voi sa dirmi con più cognizione di causa se esiste un termine nella nostra lingua che identifichi situazioni di questo tipo o suggerisce una lettura utile, un saggio.
Ho scritto bene?
A voi che leggerete l'estratto il verdetto.
* Prequel sta a significare un capitolo/volume della storia scritto o pubblicato dopo, in seguito, ma che parla di quanto accaduto prima. Per dire: ieri sera Jacopo stava guardando in tv Young Sheldon, ecco, diciamo che è (in parte) il prequel di Big Bang Theory.
(La foto l'ho scattata a San Pantalon. Notare il semaforo).
Da pagina 87 di Sindrome di Venezia (Nota: nel post il corsivo viene perso)
XIV
“Bene! La seduta è conclusa.”
L’assessore Pietro Longhi esce di fretta dalla camera di consiglio. Il suo passo è lungo e felpato, e quasi corre quando cerca di sfuggire all’assalto di mezza dozzina di giornalisti accampati da ore fuori dalla sala. Assomiglia a una giraffa che fugge dall’incendio della savana; ha stile, anzi, eleganza.
Giovane di bell’aspetto. Occhi marroni, naso aquilino e sguardo sicuro. La statura è sopra la media, anche se di poco, ma quel giusto che basta a fare da catalizzatore, unitamente al portamento, ad una seconda occhiata femminile.
Veste in modo eccellente, anche se casual; odia gli smoking. Al posto della cravatta porta uno di quei foulard che vanno avvolti attorno al collo, come usavano molti giovani negli anni ’80.
I colori della seta sono sempre gli stessi; oro e granata, i colori di Venezia, ma anche dell’antica Serenissima Repubblica.
Uscito sulla porta d’acqua, salta direttamente sulla lancia che lo sta aspettando già col potente motore acceso.
Parte come un razzo, schizzando d’acqua e alghe alcuni giornalisti che si lasciano scappare qualche gesto sconveniente con la mano, condito da improperi.
“Basta specchiarsi commendatore. Altrimenti me lo consuma.”
Pietro si scosta, sistema il nodo del foulard come fosse una cravatta e va a sedersi.
Berto, un ammasso di muscoli sotto a una testa pelata, autista privato, nonché tuttofare, scuote il capo quando lo sbircia dallo specchietto.
“Vanitoso...”
“Cosa hai detto?”
“Generoso!” Risponde immediatamente.
“Ah... okay,” borbotta l’ingegner Longhi non troppo convinto.
L’assessore controlla il telefono, legge qualche messaggio poi si rialza e va verso Berto.
“Pulita?”
“Sì, la barca xe a posto. Ho appena fatto la bonifica.”
“Com’è andata?”
“Nessuna cimice.”
“Mm...”
“Sembra dispiaciuto ingegnere.”
“L’ultima potevamo lasciarla... che stupido!”
“Quella di due settimane fa? E perché?”
“Ci poteva tornare comoda.”
Berto afferra:
“Ah, go capìo. Facevamo il teatrino.”
“Anche...” L’astuto Longhi gli batte la mano sulla spalla.
“Dai! Portami alla fabbrica.”
“Okay. Alla cucina.”
“Alla cucina? Non è più la factory?”
“No, vuole che la chiamiamo così adesso. Ha anche detto che farà dei bigliettini da visita.”
“Ma che deficiente!”
“Eh già,” poi, impacciato, “sarà un genio di chimico ma è proprio ’no stupidoto ingegnere. Se ho il suo permesso, una volta tutto finito, vorrei sistemarlo io... intendo, con le mie mani.”
L’ingegnere abbozza un mezzo sorriso, inarcando il sopracciglio.
“Ingegnere. Vecchi sistemi... di notte, Canal Orfano.”
Berto fa una smorfia di piacere, lascia il volante e con le robuste mani callose simula di strozzare qualcuno.
“Lo tengo così per il collo, sospeso fuori dalla barca, coi piombi stretti ai piedi. Un attimo prima che tiri il gambeto, lo lascio cadere, così urla e i polmoni si riempiono di acqua... mica male eh?”
Si rimette al volante, indifferente, con lo stesso sorriso di prima, tanto come aver detto ma che bella giornata ingegnere!
...
Berto non è una macchina come l’ingegnere, lui è un uomo vero, che ha sentimenti e pulsioni da soddisfare, come da ragazzino, quando si metteva sui ponti e ammazzava i piccioni stringendoli tra le mani finché non gli esplodevano. Le budella calde e insanguinate colavano tra le dita nel rio, pasto per i pesci. Fu beccato solo una volta, quando una vecchia gli corse dietro col battipanni, poi si smaliziò.
Oppure i gatti... ah sì, quelli sì che erano bei tempi. Venezia era piena di gatti ovunque, potevi farne sparire un paio al giorno che tanto non se ne accorgeva nessuno, tolto qualche moccioso piagnone che poi li chiamava per giorni interi.
Poi sono arrivati gli stranieri, con i loro ristoranti, e i gatti, sono scomparsi, finiti in qualche pentolone, ma questa era una sua idea sulla quale un giorno qualcuno ci avrebbe scritto una tesi di laurea, e, perché no? forse basato un intero corso di laurea! Lui sarebbe stato invitato come esperto ai simposi, ma nel frattempo, in attesa del momento giusto, avrebbe dovuto tenerla per sé. Solo lui conosceva il reale motivo della scomparsa dei gatti da Venezia.
***
