google-site-verification=j8H4iGAGU5ghOqzdGdlHtwVkAXsIg88Aqoi1YgLHk2U
4dc94132d72119acf52a1a641a7bbe9c787e4fdc

©

Estratto da La Organista - Diabolus in Musica (5 min.)

16/10/2024 06:27

Andrea Perin

LETTURE, venezia, racconto, supsense, horror,

Estratto da La Organista - Diabolus in Musica (5 min.)

E voi? Davvero non l'avete mai sfidato? Una notte m'ha preso per le gambe trascinandomi giù squarciando il materasso. Mi svegliavo e risvegliavo nello stesso

f2b341c7-51ea-4ad1-8b54-3b7107371871-95044153.png



[...] Da pag. 88


***

“Tutto bene signora?”



“Certo, la Margherita era buonissima, grazie.”



“Un dolcetto, un caffè, un amaro?”



“Mm... sono astemia e vorrei tenermi leggera.”



“Capisco.” Se ne va.



Che donna strana. Sessanta anni e una sua classe indiscutibile, si muove tra i pochi tavoli in modo elegante, spalle dritte mento alto, persino quando vi appoggia i piatti sopra. Sembra una dama uscita da un quadro del Veronese, niente a che vedere con le figure immortalate in bianco e nero nelle immagini della grande alluvione in Polesine del ’66, quelle che passano sui social. Eccola che torna, dev’essere il conto.



“Questo lo deve assolutamente provare. L’amaro della casa. Lo facciamo noi, tutto genuino. Poco alcol e calorie.”



Mi scosto un po’ indietro. “E come potrei rifiutare, grazie.” Afferro il bicchierino. La osservo meglio seguendola con lo sguardo. Accidenti, è davvero una donna singolare, bellissima. Sembra nettamente in contrasto, quasi un’antitesi di tutto ciò che la circonda. Anche la sua inflessione non è di qui, l’ho sentita parlare in dialetto, ma si intuisce che non è madre... madre dialetto... ridacchio sonoramente. Mi copro la bocca con la mano, poi stringo il mento; sembrerò una scema!



Ho un amico, conoscente in verità, professore di lingue. Un signore anziano un po’ buffo per alcune sue uscite rabbiose. Ha fatto del dialetto veneto una malattia. Lo considera una vera lingua, coi suoi dialetti. Una volta un po’ nervosetto mi fece: “Ma secondo te si parlava prima il veneto o l’italiano?” Io scossi le spalle indispettendolo ancor di più. “C’era già prima, o no?” Mi becerò in faccia. Si stava per arrabbiare, forse aveva bevuto un bicchierino di troppo, mi pare che venne in soccorso Mario allontanandomi a braccetto.



A volte ci si imbatte in situazioni imbarazzanti, non sai che dire e se parli magari fai peggio. L’importante è non farsi fregare una seconda volta dalle stesse persone.



Giro il bicchierino facendolo scivolare sul legno del tavolo, poi lo prendo tra pollice e indice. Lo porto vicino alle labbra.



In effetti non sono una vera astemia, non nel senso medico del termine diciamo, non è che se bevo un po’ di alcool poi sto male, al mio corpo non manca quella proteina che lo scinde in altro metabolizzandolo... è già in bocca! Che piacere. Amaro e dolce combattono con forza mentre un mantello di erbe aromatiche vi si adagiano sopra soffocandoli dolcemente.



Accidenti! L’ho già finito, ma non è possibile? Ecco perché ridacchiavo. Mi guardo attorno un po’ stranita con la faccia accaldata, ma mi sento bene, leggera.



“Ne vuole un altro signora?”



Faccio per risponderle, ma quasi scoppio a ridere. Cavoli non mi staranno drogando?!



Che leggerezza e quale senso di euforia sto provando. Rigiro il secondo bicchierino sul tavolo, già a metà.



D’improvviso, senza accorgermene, mi faccio spavalda... Motivetto diabolico dove sei? Perché non ti fai sentire? Dai, ti aspetto, ti sfido. Diavoletto, ma davvero esisti? Dove sei?



Ma non succede niente.



Visto Anna? Ci voleva tanto? Il motivetto è un circuito cort– no, aspetta, un corto-circuito nella tua testa, torna a goderti serena la tua vita... accidenti ma fa proprio schifo quel ragno peloso sulle tende, gli si vedono gli occhi rossi fin da qui! Faccio per alzarmi, un giramento, un boato che scuote il locale. Sotto alle mie gambe si fa il vuoto. Tutto scivola nel fosso che fiancheggia la pizzeria in un rumore assordante. Urla la coppia vicino, il pizzaiolo e la dama del Veronese. Mi ritrovo aggrappata, sto per cadere nella voragine che si è creata sotto di me. L’acqua fangosa mi sta per trascinare nel suo gorgo dove sarò fatalmente inghiottita. Allungano tutti la mano facendo poi una catena, ma sono ancora troppo distanti, incitano stravolti, ma non sento le loro voci, mi aggrappo ai ferri arrugginiti usciti dal calcestruzzo frantumato del pavimento. Una trave maciullata in acqua adesso mi schiaccia le gambe. Le mani allentano la presa. Dai ferri arrugginiti esce un liquido nero, cola giù dalle braccia. È il mio sangue. Sto per morire davvero, non non voglio... svegliati Anna... no, è tutto vero! O mio Dio... aiut... A... Una visione, un lampo che rompe il tempo, la materia: “Antoniooo!”



Ansimo. Penso di aver urlato con tutto il fiato che avevo in corpo. La dama del Veronese corre subito al mio tavolo, mentre la coppietta nell’angolo ammicca divertita. Il cuore batte veloce. Mi tasto la fronte, sto sudando freddo. Correrei subito in bagno se non temessi che le gambe tremanti mi possano tradire. È stato tutto così dannatamente reale.



La bella cameriera mi sta parlando, ma fatico a capire cosa dice. Bicicletta, taxi, molto dispiaciuta, non credevo... probabilmente si sta scusando ma sono ancora troppo sconvolta. Infilo le dita tra i capelli, sono sicura d’aver sognato ad occhi aperti... ma che diavolo. Il diavolo! Ecco cosa stavo facendo: lo stavo sfidando... Antonio, o mio Dio! “An... Antoniooo!” Un altro urlo. Ora si sta per alzare anche la coppia, ma rimane al tavolo. Vedo che la cameriera parla sottovoce col pizzaiolo allungatosi da dietro il banco.



Arriva come un pugno allo stomaco l’immagine di Antonio. È grande, un bel giovane, mi sorride sofferente mentre da un mondo lontano lo accarezzo... soffre, ma solo fisicamente, coi suoi occhi mi sta dicendo perdonami mamma... se ne sta andando, arreso, senza soffrire, lo scuoto e lì la vedo: nel suo braccio ancora infilata una siringa con lo stantuffo sporco del suo sangue.



“Mi dispiace molto signora, l’ho incoraggiata io ad assaggiare l’amaro della casa.”



“Il ba... il bagno per favore!”



“Là, nell’angolo, dietro all’appendiabiti.”




Mi guardo allo specchio. Si sente una risata, forse è per me, Pareti così sottili che quasi posso sentirli respirare, e se ascolto, sento il battito del mio stesso cuore. Alzano la musica, è una strana e delicatissima canzone degli Eurythmics che conosco: The city never sleeps. Fortuna che non ero truccata, sarei stata la maschera di Jocker. Non ho il coraggio di uscire per la vergogna. Ma devo farlo, ormai sono chiusa qui dentro da una ventina di minuti, non vorrei che venissero a bussare.



Cammino inebetita fino al tavolo, ma senza inciampare. Il pavimento sembra floscio e ondeggiante come quello della cattedrale di San Marco. Mi siedo. Afferro un pacchetto di grissini torinesi, lo strappo e inizio a mangiare masticando nervosamente.



La coppietta si rimette a parlare, il pizzaiolo consegna delle pizze nei cartoni d’asporto mentre la cameriera non si vede, ma si ode il suo parlare in dialetto.



Mangio un altro grissino, inizia ad andar meglio.



Altri cinque minuti e poi sarò in grado di andarmene.



Devo richiamare Antonio, allertare Lucia, la tata. È stato tutto così dannatamente reale... “Finiscila qui!”



“Vattene! È finita! Sei una brutta tro–” Osservo la coppietta mentre mi tappo le orecchie in tempo e in quell’attimo ecco che dal profondo insondabile il ritornello fa capolino con qualche nota. Sta ritornando!



Il ragazzo si alza bruscamente, facendo cadere la sedia all’indietro, lancia il pesante tovagliolo in faccia alla compagna, ex-compagna a ’sto punto, si avvia verso il bancone del pizzaiolo, per un attimo mi squadra: ma è Antonio! L’Antonio quando avrà vent’anni! Faccio per fermarlo prendendogli il braccio nell’attimo che una lama lo raggiunge alla schiena. La ragazza è fuori di sé, spettinata fissa il vuoto mentre ansima affamata di ossigeno come avesse un attacco d’asma.



No, no, no! Ma che succede? È uno scherzo?



Il ragazzo è piegato sulle ginocchia a terra, cerca invano di arrivare al coltello per toglierlo con movimenti delle braccia sempre più lenti, si sta per spegnere. La cameriera si è attaccata al telefono, urla “Presto, presto, fate presto!” Mentre il pizzaiolo è combattuto se toglierli o meno il coltello piantato sotto al collo, nelle cervicali.



Ecco che vomito!



Corro in bagno, a metà strada non ce la faccio più. Combino un disastro. Quasi cado scivolandogli sopra. Mi chiudo dentro. Non so quanto ci rimango stando seduta sulla tazza.



Mi decido. Alzatami mi osservo allo specchio e inizio a pulirmi alla meglio. Una risata prima mi mette i brividi, poi imbarazzo, senz’altro è per me.



Hanno alzato la radio, suona una dolcissima canzone cantata da Anne Lennox, The city never sleeps... ma aspetta, l’ho sentita prima? com’è possibile?



Mi sciacquo la faccia con l’acqua fredda. Mi osservo allo specchio gocciolante.



No, non può essere una coincidenza. Va bene la canzone, ma prima anche la stessa risata... no!



Mi rivedo la brutta scena di Antonio in over-dose, l’accoltellamento, tutto così reale, vivo, come fosse accaduto, come stesse accadendo.



Non so spiegarmelo, ma ho la convinzione che il bel universo di Anna la organista si trova distante quanto un sospiro da tutta questa follia così prossima al reale. Infiniti universi, senza tempo, ognuno di questi possibile.



Impaurita, tremante, sopratutto insicura mi specchio di nuovo mentre incredula alle mie parole sussurro: “Scusa, non ti sfiderò mai più.”




***


©